Porci con le ali alla fermata dell'autobus

Porci con le ali alla fermata dell'autobus

Si, lo so, il titolo è “ispirato” sia al film “pomodori verdi fritti alla fermata del treno” (1991) che al libro “Porci con le Ali” scritto a due mani nel 1976 da Lidia Ravera e Marco Lombardo Radice.

E allora, pur sapendo che il titolo è “ispirato” ad altro perché l’ho utilizzato ti chiederai tu che hai la bontà di leggere?


Beh è stata l’ispirazione: ero alla fermata dell’autobus in attesa del mezzo urbano e alla stessa fermata sedevano 3 ragazze, adolescenti, di età apparente 16 anni che chiacchieravano o meglio facevano ragionamenti esistenziali su argomenti che, a 16 anni, sono di grande interesse (almeno mi pare di ricordare): amore e relazioni interpersonali.

Le giovinette, che il caso ha voluto fossero una africana, una caucasica ed una asiatica discettavano sull’amore inteso non come Amore (sentimento) ma come amore fisicità e, di certo, non nascondevano la loro conoscenza del corpo maschile e delle reazioni fisiologiche agli stimoli.

Paragonavano ragazzi, membri e prestazioni nella più totale semplicità o innocenza.


Immediatamente il mio pensiero è andato al libro “Porci con le Ali” che, a 16 anni, lessi e rilessi, più volte, soprattutto le parti in cui si raccontavano dettagliatamente (almeno così mi pareva) gli incontri (corteggiamento, primo bacio e primi rapporti) tra Rocco e Antonia. E mi sovvenne che lo leggevo, quasi, di nascosto per non farmi sorprendere a leggere un libro all'indice.

Così rapidamente come mi si è affacciato alla mente Porci con le Ali mi è sovvenuto un secondo libro “l’Alleanza” pubblicato nel 1980 e scritto da James Albert Michener (ne consiglio la lettura):  sul finire della corposa storia uno dei protagonisti, guardando un bicchiere in cui si trovavano gelatine di diverso colore, pensava che il mondo era giusto così: separato per colore (lui pensava all’apartheid) e che i colori non dovevano mescolarsi perché “puri” erano più belli.

Non ritengo che le razze debbano essere separate, anzi sono per un totale mescolamento ma  rimpiango il tempo in cui compiti, ruoli, regole erano definiti tanto da dare certezze, anche minime, ma certezze: andavo a scuola indossando il grembiule, colore unico, che mascherava l’abito sottostante (pulito, sporco, bello, brutto) e i pantaloni erano corti almeno fino alla 5° elementare.

Che sia chiaro: sono un boomer contento di esserlo.  

Io, bambino, non coglievo differenze: ero in una classe di 30 alunni, alcuni benestanti, alcuni ceto medio, altri con famiglia inesistente ma, in aula, non esistevano differenze solo simpatie personali e affinità elettive che nascono spontanee (suggerisco leggere il libro scritto da Goethe dal titolo Affinità Elettive, pubblicato nel 1805 per capire cosa siano queste affinità).

Era bello essere uguali: eravamo studenti e il nostro compito, alle elementari come alla medie era studiare.

Nessuna divisione. Il bianco era bianco, il rosso, rosso ed esisteva si e no. La maestra si rispettava e la si adorava non perché dovevamo ma perché era autorevole.

Dal ricordo di lettura a considerazioni sul cambiamento occorso alla società, dagli anni 60 ai giorni nostri il passo è breve: arrivò il ricordo delle scuole superiori. Eravamo a metà degli anni 70. La liberazione era avvenuta ed una classe politica che al tempo inneggiava alla lotta di classe, senza grandi motivazioni occupava la scuola a colpi di annunci mattutini al megafono.

L'occupazione era, sempre, dal Lunedì della settimana Santa fino alla prima settimana di Maggio. Spiegavano a noi che loro si adoperavano affinchè  Noi vivessimo la  vera libertà, quella di non studiare ed avere il 6 politico. Per il progresso e la libertà. (Chiedo a Te lettore: Ti ricorda qualche cosa?)

Il 6 politico avrebbe garantito nessuna discriminazione alle masse.

Lottavano non certo per avere il riscaldamento o docenti più preparati o aule più consone alla dignità di studenti di Liceo classico ma, in sostanza,  per abbassare l’asticella della cultura che da allora in avanti, mi pare, sia scesa sempre di più. Ho il sospetto, ma non la certezza, che il livello odierno di cultura sia figlio di quelle occupazioni.

Chi studiava e voleva andare in classe era un depravato e figlio dei padroni (di destra): venivano a stanarti in classe se osavi avere il libro aperto seduto al tuo banco.

Cloro al clero, l’utero è mio e lo gestisco io e vietato vietare: questi alcuni degli slogan dell’inizio anni 70.

Lottare, scrollarsi di dosso la barbarie medioevale per giungere ad un mondo Nuovo in cui divorzio, aborto, progresso era il diktat. La libertà!

Il progresso, in quanto tale, era giusto. Il passato sbagliato. l'Unione Sovietica da imitare, l'America guerrafondaia e oppressiva sbagliata.

Non posso negare di avere condiviso le idee. Non lottavo, osservavo distaccato il mondo e vedevo che chi sarebbe diventato la classe dirigente studiava e nel frattempo strizzava l’occhio ai contestatori, quelli col megafono, dicendo che, si, che era giusto ciò che facevano. 

Nel frattempo loro studiavano e si preparavano: dopo il liceo ci fu chi seguì movimenti politicizzati, chi l’Economia e chi l’avvocatura. 

Ora loro comandano insieme a quelli che contestavano e che sono, naturalmente, finiti in politica. da che parte? A te capire!


A causa del clima sociale non lessi La Gaia Scienza e non ascoltai né Zarathustra né ahimè, le lezioni su Nietzsche (forse c’era occupazione) e  così arrivai al “Dio è morto” solo molto dopo. Forse è stato meglio così perchè non sono diventato l’oltruomo anche se mi sono precluso la carriera.

Ma avrei voluto essere l'oltruomo di Nietzsche?  Non lo so.


Oggi mi pare davvero che Dio è morto: per me no, è più vivo che mai e anche se “sono stato colpito da ingiustizia, umiliazione, violenza e non c’è nessuno che mi protegge da loro so che ci sei tu “ e so che “bisogna essere i nemici del falso e bisogna supportare con forza la verità fino a che tutte le persone abbiano accesso all’eterno Regno della verità”

Una nota importante: non sono così saggio come potrebbe parere. Le frasi virgolettate (mia traduzione dall’inglese) fanno parte delle gāthā, che, in definitiva, sono i canti del santo profeta Zarathuštra Spitāma e contengono il messaggio che egli, ispirato da Ahura Mazdā, rivolge agli Arii dell'Irān affinché non dimentichino e non tradiscano mai la loro fede monoteista (Arnaldo Alberti – Verona, 1866/1896).

In pratica i versetti citati sono parole di Zarathustra e ciò che vorrei dire è che: forse il tempo per contrastare attivamente il “Vietato Vietare” è giunto e che la verità, in ogni campo, bisogna iniziare a dirla.


Tutto ciò premesso mi permetto suggerire un viaggio verso Yazd la città abbracciata dal deserto del Kavir in Iran.

 

Il viaggio vale la pena sia per, magari, acquistare i testi di Zarathustra che, in una biblioteca come si deve, fanno sempre bella figura (magari si possono anche leggere) ma anche per godere di questa meravigliosa città color ocra e delle sue atmosfere che, pare, allo scrittore Pasolini ricordò Venezia sia per l’isolamento dovuto al deserto  che la circonda come la laguna circonda Venezia, sia per le vie che paiono canali e  sia per i comignoli di aerazione  che sono elaborati come quelli nella città lagunare.

Oltre alle torri del silenzio si visita la città vecchia, quella dei camini in immagine, la Moschea del Venerdì e le palestre dove si pratica lo  Zurkane sport di forza e abilità 


Non so se io ho visto Venezia in Yazd ma ho incontrato bellezza e Saggezza e l’insegnamento che dobbiamo perseguire il giusto che è il fondamento del nostro vivere socialmente.

 

Non ho detto nulla alle tre Grazie ascoltate casualmente alla fermata dell’autobus ma sono certo che non mi avrebbero capito: chissà se ho fatto bene a non parlare. 

Tu che hai avuto la bontà di leggermi fino a qui cosa ne pensi? Ho fatto bene o male? 

Grazie di aver letto questo  viaggio della semiotica che è comunicazione: spero che il mio messaggio venga colto nel giusto significato!



e già che ci siamo un poco di musica persiana: clikka qui per ascoltare