Paese che vai, Vestito che trovi

Paese che vai, Vestito che trovi

L'abito fa il monaco? 

Non sempre ma, almeno esternamente, si, l'abito fa il monaco o per lo più l'abito conserva la cultura nativa quella che, purtroppo, a quanto pare, stiamo forzosamente perdendo.

C'è stato un tempo in cui l'abito qualificava e dichiarava al mondo classe sociale, professione e paese di origine. 

L'abito è un segno di te, parla di te e lo si può utilizzare anche per fini politici: Luigi XIV di Francia, il re sole, fece dell'abito non solo il simbolo del suo potere ma anche del lusso e della ricchezza e capacità produttiva del suo regno.

Con i pizzi, i merletti, i gioielli (e l'arredamento) Luigi faceva sapere al mondo che la Francia sapeva produrre oggetti di lusso e Lui, che era il re, conosceva e voleva utilizzare questi oggetti perché la sua sacra persona li meritava.
Non utilizzava la porpora imperiale, non era porfirogenito: utilizzava il blu per il manto reale ma sapeva bene che la sua figura era sacra e la circondava di quel lusso che dichiarava il suo stato sociale e la maestria del suo paese.

L'abito era un mezzo per porre distanza sociale, per far capire al prossimo dove doveva sistemarsi nella scala sociale e nel malaugurato caso in cui i denari colmavano il divario sociale ci pensava l'anello col sigillo ad alzare il muro: di qua chi aveva l'anello col sigillo, di là chi non lo aveva.

Oltre a ciò l'abito indica appartenenza di cultura: il kilt scozzese dichiara al mondo da dove vieni come il kimono oppure il longy birmano o l'abito degli arabi immediatamente dicono a tutti da dove vieni. 

Col tempo, approfondendo la conoscenza culturale degli abiti, si impara anche a distinguere il paese di origine all'interno della grande famiglia culturale di appartenenza.
Un esempio? Se appartieni alla cultura araba il lungo abito bianco, pur nella uniformità della forma ha differenze: un camice saudita ha il colletto, quello omanita è a giro collo ed in più ha un cordone profumato, quello del bahrein è si girocollo ma senza il cordone portaincenso ed anche il copricapo si indossa con nodi e fogge differenti.

Ugualmente in India o Birmania o Cambogia gli uomini indossano un taglio di stoffa annodato in vita ma nodo, fantasia del tessuto e piegature del tessuto sono assolutamente diverse a seconda della cultura di appartenenza.

E da noi? 

In Italia purtroppo stiamo assistendo ad un appiattimento di abbigliamento verso modelli esteri che poco o nulla hanno a che vedere con noi: pare bello uniformarsi e dimenticare che l'abito fa il monaco.
Oggi si desidera essere comodi, informali, semplici, globalizzati si osanna e vanta Dante e la lingua italiana e poi si introducono parole straniere nel parlare e ci si dimentica dell'abbigliamento nostrano e delle scuole di pensiero per la forma della cravatta o la lunghezza dei pantaloni o della spalla della giacca.

Io apprezzo la diversità di abbigliamento e ammiro chi, tenacemente, ha scelto di non omologarsi pur vivendo nel XXI secolo.
Si può essere al passo coi tempi ma tradizionalisti nella cultura. 

Si può essere al passo coi tempi ma orgogliosi di appartenere ad una cultura ricca e feconda.
Si può essere al passo coi tempi e si può rifiutare la globalizzazione!



Si può, ma bisogna riconoscere che la cultura è una ricchezza che va salvaguardata e conservata!
e allora ascoltiamo una canzone della grande produzione melodica italiana: la notte 



N.B. in immagine un tributo alla ricchezza culturale dell'abito