Napoli storie di Storia

Napoli storie di Storia

Botticino (Bs), 28 Gennaio 2023


Napoli antica città anzi, antichissima e soprattutto fantastica nel senso che si raccontano mille e una storia sulla gente, i palazzi, il cibo ma da dove provengono queste storie su Napoli posto che, almeno fino a 50 anni addietro i viaggi non erano così diffusi e la televisione non così presente nella nostra vita?

Attingendo alla mia biblioteca geografica ho pensato di verificare come Napoli è stata raccontata: la tua esperienza personale farà la sintesi per dare un giudizio sulla città.

 

Il primo testo esaminato è:  “Lezioni di Geografia per le allieve del collegio femminile Bianconi in Monza”.  Fu stampato a Como nel 1853, otto anni prima dell’unità d’Italia o, come altri dicono, otto anni prima della conquista del Regno delle due Sicilie da parte di uno stato nemico (il Piemonte).

 

A quanto scritto la popolazione del regno contava 9.000.000 di abitanti e la capitale, Napoli, veniva descritta (pag 224) “città di grande industria e commercio, in una situazione magnifica in fondo al golfo che da lei prende il nome, a destra del piccolo Sebeto.  

Abitanti 420.000” (per un confronto: Roma, per la stessa guida, di abitanti ne contava 180.000, Milano 176.000, Venezia 120.000, Torino 150,000, Firenze 110.000, Palermo 130.000). 

“La fertilità del territorio, la dolcezza del clima, la bellezza incomparabile de suoi dintorni e le innumerevoli antichità che la circondano rendono Napoli uno dei più deliziosi soggiorni che possano immaginarsi. Il suo teatro San Carlo è il più vasto dell’Europa e il Museo Borbonico (oggi Museo Archeologico Nazionale ndr) nel suo complesso non ha pari al mondo.”

 

La guida della Consociazione Turistica Italiana vol. III pag. 28 dice che Napoli, al 1° Ottobre 1939, contava 927.262 abitanti e che, nell’ultimo ventennio, sotto le vigili cure del Governo Fascista, Napoli ha subito un radicale rinnovamento. Innanzitutto abbattendo e ricostruendo vecchi e malsani rioni poi ridando vita al fatiscente quartiere di Fuorigrotta riattivando Posillipo alta edificando, tra gli altri edifici, il Sanatorio Principe di Piemonte che può ospitare fino a 1600 ammalati e la stazione Marittima, fiore all’occhiello della città.

Per completezza ecco il numero di abitanti, sempre al 1° ottobre 1939 delle altre città: Roma 1 .279.620, Milano 1.114.104, Venezia 265.288, Torino 638.146, Firenze 344.596, Palermo 435.150)

 

La città, sempre per la sopraindicata guida, è dominata dal Vesuvio che è “suo terrore e suo orgoglio” ed è piena di vita e gaia e abbellita da un gran numero di monumenti che vi hanno lasciato, specialmente, l’arte gotica e barocca ed è la capitale del Mezzogiorno d’Italia e grande centro di industrie e commerci favoriti dall’importante porto.

 

Deduco che, secondo quanto scritto nelle Lezioni di Geografia, nel 1853 Napoli era la unica vera metropoli dello stivale e capitale di un regno ricco, popoloso e industrioso. Sempre secondo la guida le bellezze della città e dintorni erano innumerevoli e, sempre, le sue bellezze sono le più belle d’Europa.

La stessa guida dedica 5 righe a Torino e indica come notevole, nella città, la regolarità della sua costruzione. Non cita nessun monumento né palazzo.

 

 

Venne poi l’annessione del Regno Borbonico alla nascente Italia.

 

Nel 1863 Marco Monnier corrispondente per la rivista Il Giro del Mondo, stampato a Milano (vedi bibliografia) in un resoconto di viaggio dichiara che “da tre anni in qua è un continuo occuparsi di Napoli: la è una febbre politica” e pertanto lui vuole raccontare correttamente la città e come la ha vista.

 

Dice che non parlerà delle bellezze della città, indubbie, e delle opere d’arte, che sono presto vedute, o del Vesuvio ma vuole raccontare i cittadini ed il loro modo di essere.

 

Tutti i luoghi comuni più conosciuti oggi sui napoletani lui li racconta: dolce far niente come scelta di vita; i lazzari che girano per la città nudi o con indosso solo una camicia; i lazzari che truffano la polizia per pochi centesimi; la repressione della cultura da parte della polizia che non lasciava entrare i libri nel regno ma che i lazzari , con compenso da dividere poi coi gabellieri, erano in grado di far entrare; la città che quando piove si allaga, i ricchi turisti (in particolare gli svizzeri) stupidi e profittatori; sempre i lazzari che per pochi denari si portano sulle spalle , quando piove, qualche grassone che lo fa per evitare le pozzanghere e nel frattempo si lagna che il lazzaro ondeggia.

Il Monnier ha una guida turistica, tale Bidera, che ha un difetto: vanta la città come antica e racconta che ogni pietra è antica. Pare che il “buon vecchio” Bidera avesse scritto addirittura un libro per giustificare questa declamata antichità della città.

 

Massimo Pallottino nel suo libro Etruscologia, a pag 136  dice che la Campania, citando il geografo greco Strabone ed Erodoto,  fu dominata fin dall’antichità da popolazioni indigene a partire dall’anno 1000 a.C. circa (date certe non ne esistono). Le popolazioni più antiche venivano sovrascritte da altri popoli e cultura indica la cronologia straboniana come:  Ausoni, Osci, Greci, Etruschi, Sanniti ed infine Romani e dice che la fondazione di Napoli ad opera dei Greci fu fatta da coloni provenienti dall’Eubea che fondarono, prima Pitecusa (Ischia) e poi Partenope o Paleopoli da cui poi Napoli.  Per altro gli Etruschi, sin dal VII secolo a.C. fondarono città nella odierno provincia di Salerno e le colonie etrusche erano in competizione con Napoli e le colonie greche.

 

Il nostro Monnier dice, forse per sostenere il Bidera, che alcuni abitanti hanno ancora modi di fare greci o financo etruschi.


Ma come vivevano i Napoletani del 1863?

Innanzitutto diciamo che per il nostro la città è piena di mendicanti che mostrano piaghe spaventose per attirare l’attenzione e raccatar denaro; le donne si dedicano al più antico mestiere del mondo un poco ovunque; la centrale via Toledo è zona di bancarelle sgangherate dove tutti imbrogliano e dove passeggiano i cinghiali, per altro docili e l’unica via veramente elegante e tranquilla è la nuova Via Vittorio Emanuele che si sta costruendo; le vie laterali a via Toledo sono così strette e tortuose che due frati un pò corpacciuti non potrebbero passare e se, per caso, vi capitasse di far cadere l’occhio dentro i cortili delle case vedreste “fetidi cortili ove persino i porci dei nostri paesi civili sdegnerebbero grufolare oppure un suolo umido e lotoso che stilla acqua salmastra, coperto di paglia imputridita, ove dormono a rifascio famiglie intere fra un lezzo che farebbe orror se non facesse pietà.”

 

Il Bidera però in questa situazione di degrado racconta una delle più curiose storielle per far capire questo mondo: la storia di Pinerolo

 A te che leggi Pinerolo permette di capire le giornate dei napoletani poiché ogni tipologia di mercante aveva una sua routine che scandiva la vita di molti.

 

“Pinerolo o Pennerolo è il figlio d’un sergente di marina che si battè or con i Francesi, or contro di loro, secondo che portarono gli eventi al tempo di Championnet e di Murat, e finì col morire in un ospitale. La vedova ereditò la disciplina militare del marito, ed il suo orologio era appunto il passaggio de merciaiuoli ambulanti. Ella si svegliava al mattino al grido de’ venditori di acquavite.

Allora si segnava e borbottava le sue preghiere, indi si metteva al lavoro.

Il suo mestiere consisteva nel far de guinzagli per i palafrenieri.

Ma ella anzitutto pensava a svegliare il suo Pinerolo, che dormiva il sonno del giusto.

Pinerolo si sollevava dal suo lettuccio per poi ricascare di subito come fantoccio a cui si sieno rallentate le molle.

La madre tornava a chiamarlo ma egli non l’ascoltava; la madre lo scuoteva, ma egli non muoveva membro; la madre lo minacciava, ma egli dormia alla grossa. Quand’ecco d’un tratto balzava fuori, infilava i calzoni, e si precipitava alla porta: in strada il venditore di succiole, passava gridando: allesse caude!

E questo treccone era la sveglia di Pinerolo!

Dopo l’asciolvere Pinerolo usciva per provvedere alla madre il carbone. Era ben naturale che da monello napoletano e’salasse la lezione. Egli lanciava il suo denaro per le vie quasi giuocasse a lo masto, alla piastrella. Si soffermava co’ suoi compagni a baloccarsi lungo la strada; e fra questo mezzo la madre vedendo passare i venditori di ricottelle e di latte rappreso contava i momenti. Al passare dei venditori di crema, ella sapeva, minuto più minuto meno, il tempo perduto di Pinerolo. Infine il marmocchio arrivava cantarellando la canzone di moda:

 

Aggio visto una figliola

Ch’è una cosa assai graziosa,

bella, acconcia, capricciosa

oh che zucchero ch’ell’è!

 

Quanto è dolce quella bocca!

Quant’è dolce quel sorriso!

Tu ti credi in paradiso

Quando sta vicino a te!

 

E allora la madre  “‘Mpiso (impiccato)! E’ un’ora è ci vorrà per comprare un quattrin di carbone!” eh….un’ora.. che dite mai mamma? Non le senti eh le capre che passano? (le capre e le vacche entrano verso le 7 del mattino). Le capre oppone Pinerolo si son pur levate per tempo! Sbrigati dunque, non odi la campanuzza della vacca?” E qui il povero Pinerolo si sente suonare una solenne ceffata, e sclama piangendo: “se ve n’ha a Napoli di queste bestie indiavolate che passano per farmi pigliar delle busse!”

La madre accende il fuoco. Passano i venditori di carne e di legumi da bollire nella minestra: son le otto ore. Le belle venditrici di uova che non si mettono in giro prima delle nove indicano a Pinerolo ch’è tempo di spazzar la casa. Ma come s’ode la rauca voce del marinaro che arriva da Sorrento e invita a comperare il suo burro (il burro di Sorrento è squisito), Pinerolo corre dalla madre e la sollecita a mettere la pentola al fuoco poiché sono le dieci ore.

A undici ore passano le ricotte di Castellamare, e Pinerolo apparecchia il desco cantarellando. Poi a un tratto un coro discorde s’eleva per ogni dove; i venditori gridano tutti in una volta, e Pinerolo scoppia in trasporti d’allegrezza. E’ mezzogiorno, l’ora del desinare: “ a tavola mamma, a tavola!” ohi ma’ a magnà!”

Poi sopraggiungono i mercanti di ravanelli e raperonzoli: e’ un’ora.

La madre e il figliuolo rendono grazie al Signore e s’alzano da tavola. Ella si ripone al lavoro; due ore. A tre ore la venditrice di acqua sulfurea reca come di solito la sua brocca piena alla vedova. A quattr’ore escono le vacche, e Pinerolo ottiene il permesso di andare a giuocare, ma solo fino alle cinque l’ora in cui le vacche rientrano.

Fino a questo punto i clamori della strada hanno segnate le ore senza interruzione.

Qui però v’è un intervallo a meno che il pescivendolo non passi annunziando le ore sei, ma egli è irregolare e capriccioso come l’evento della pesca e i capricci del mare. Alla mancanza di clamori supplisce il sole che tramonta e il giorno che muore. Cala la notte e Pinerolo accende la lucerna; i venditori notturni riprendono l’opera interrotta e fan quello che dovrebbero fare i tocchi dell’orologio che non esiste. Passano le olive: nove ore. La vedova e Pinerolo si mettono a cenare a faccia l’uno dell’altro o, come qui si dice a cor’ a core. Ripassa il mercante di castagne: dieci ore. Un’ora dopo arriva il mercante di conigli la cui voce sinistra annuncia che è ora di coricarsi. Pinerolo al quale appunto in quello la madre stava raccontando lo cunto de li cunti, fiaba popolare che sfida tutte le immaginazioni dell’Ariosto e di Alessandro Dumas, Pinerolo manda l’importuno a tutti i diavoli. Ma non c’è scampo! Si dice il rosario e si va a letto! Suonano le campane: è mezzanotte; e poiché gli oriuoli dei campanari delle trecentosettanta chiese di Napoli non sono d’accordo, que’ rintocchi continuano per un buon quarto d’ora.

Finalmente l’ultima vibrazione dell’ultima campana in ritardo si spegne nel silenzio. E Pinerolo dorme…fino a che non ricompaia il mercante di succiole.

 

Gli è così che si vive ne’ bassi quartieri di Napoli.

 

Non so se ciò che scrive della popolazione napoletana influenzarono i racconti raccontatimi della città ma molte delle cose che mi seppi su Napoli sembrano essere prese da questo racconto.

A te che hai avuto la forza di leggere fino a qui dico: trai le tue considerazioni ascoltando la canzone canto d'amore, nelle mie intenzioni, alla città!

N.B. l'immagine è copia di una illustrazione presente nel racconto di Marco Monnier

 

 

 

 

AA.VV.-  Lezioni di Geografia sulla traccia di Gaultier  -ed 1853 Carlo e Felice Ostinelli

AA.VV. - Guida breve – Vol. 3 – ed 1940 Consociazione Turistica Italiana

AA.VV. - Il Giro del Mondo Vol 1 – 1863/4 ed Charton e Treves Milano

M. Pallottino – Etruscologia – VII° ed 2022 - Hoepli editore