Islanda: l’incontro con le chiese in torba

Islanda: l’incontro con le chiese in torba

Case e chiese con scheletro in legno e tetti in torba sono una della particolarità dell’Islanda: ne sono rimasti pochi di edifici storici in tutto il territorio nazionale ma i pochi che si vedono non possono non incantare anche il turista più distratto e molti, se non tutti gli edifici, sono sotto la protezione del Ministero della Cultura. Vengono curati e mantenuti in ottimo stato affinchè la storia, architettonica e non, del popolo islandese non vada perduta o dimenticata.


 Monsieur Nogaret, francese, che visitò l’Islanda nell’estate del 1864 descrive approfonditamente le case che incontra (il racconto apparve nella rivista "Il giro del Mondo", diretto da Edoardo Charton e Emilio Treves e pubblicato in Via Durini 29 a Milano) e ci racconta come erano gli interni: stanze in sequenza con tetto a falde spioventi. 

Una delle stanze, normalmente la centrale, era il punto focale della casa. Al centro dell’edificio vi era lo scranno per il capofamiglia ed attorno cassapanche dove tenere le proprietà e che fungevano anche da panche dove sedersi per il desinare o per dormire o ascoltare i racconti degli ospiti o del capofamiglia o del trovatore del caso.

Nelle lunghe notti artiche le famiglie si trovavano sedute in cerchio, illuminate dal braciere centrale acceso ed il cui fumo usciva da un'apertura sulla sommità del tetto, ad ascoltare storie attendendo l’arrivo del giorno successivo.

Nogaret racconta che tutte le famiglie o i gruppi di famiglie incontrati (solitamente si rivolgeva ai Pastori della comunità che, di norma, parlavano latino e si prestavano a fare da interprete) erano sempre accoglienti e generosi e ben volentieri si riunivano ad ascoltare i racconti di un forestiero.


L’accoglienza era sempre simile: tutta la famiglia si riuniva sulla soglia di casa, lo invitavano ad entrare e gli veniva offerto caffè e zucchero di canna in cristalli.  

Lo zucchero non veniva sciolto nella bevanda ma messo in bocca e fatto sciogliere, lentamente, in bocca, dalle sorsate del caffè caldo. Seppur poveri, alcuni non tutti, indistintamente offrivano generosamente caffè e zucchero, a volte dando fondo alle misere scorte,  onorandosi della sua venuta.

Per contro Nogaret, alla partenza, ricompensava la gentilezza ricevuta regalando, preso dalle sue abbondanti scorte (viaggiava con 20 cavalli al seguito carichi di vettovaglie), caffè in grani e zucchero cristallizzato che gli Islandesi mostravano di gradire particolarmente.


 Tutte le case erano edificate allo stesso modo e avevano la parte bassa, a contatto col terreno di pietra, le facciate di legno (di solito importato o di riciclo perché in Islanda pare non ci fossero piante ad alto fusto) e travi interne, recuperate da navi affondate e che il mare restituiva, che fungevano da volta e su cui appoggiavano mattonelle in torba, ottimo coibente, che ricoprivano il poco legno del soffitto. 

 La torba allontana il freddo, la neve e l’acqua. Ne sono rimaste poche di case antiche (la più vecchia pare sia della fine del XVIII° secolo) ma quelle poche, almeno a me, non finiscono di stupire: passerei ore ad ammirarle.

 

Come pensabile in una società in cui Dio è il punto di riferimento oltre alle case venivano costruite anche le Chiese in torba che, per tanti motivi, erano particolarmente curate nella realizzazione: quasi sempre la struttura portante, in larice o pino, veniva prefabbricata altrove (Norvegia) e poi trasportata e montata in loco e ricoperta in torba sia lateralmente che sul tetto per proteggerla dalle intemperie.

Lo spazio interno, per comunità a volte di una trentina di adulti, era rigidamente suddiviso tra clero, uomini e donne di alto rango e uomini e donne di basso rango. Lo spazio era delimitato da balaustre che non potevano essere varcate da chi non apparteneva a quel sesso o quel ceto. Tutto era molto definito.

Dell’Islanda la cosa che maggiormente mi rapisce è che la vista corre su spazi che paiono infiniti, soprattutto al Nord: l’orizzonte è sempre lontano e mentre cammini ammiri il cielo, odi il fischio del vento e il canto degli uccelli che ti volteggiano attorno e vedi il cielo alto nel cielo con le nuvole che corrono veloci e in questi “interminati spazi e sovrumani silenzi e profondissima quiete” estasiato, ti capita di imbatterti in una chiesa di torba.


Durante uno di questi giorni, mentre stavo percorrendo la strada costiera che segue il profilo della penisola di Skagafjörður, improvvisamente, nell’orizzonte chiuso dalle montagne ho visto spuntare una costruzione che ha catturato il mio sguardo. Guidavo: ho velocemente ridotto la velocità, fatto inversione di marcia, parcheggiato e sono sceso dall’auto e camminato per una decina di minuti in mezzo all’erba alta per arrivare davanti alla meraviglia in fotografia: Grafarkirkja

 

Quanta bellezza, quanta meraviglia, quanta gioia: immaginavo di essere un novello esploratore e per la schiena mi correva quel senso, impagabile, di solitudine nella natura. 

In Islanda, anche se sei in compagnia, pensi sempre di esistere solo tu e la meraviglia della natura. Questa chiesa, circondata da uno steccato di torba e erba era la chiesa della piccola fattoria che esisteva nelle vicinanze e che nel XX secolo è stata abbattuta per essere ricostruita più distante  e più moderna ed efficiente (la fotografia nel cartello descrittivo ritrae la chiesa contigua alla fattoria anch’essa di torba).

 

Le chiese in torba in Islanda sono 37 in totale, sparse in tutta l’isola anche se la maggior concentrazione è al nord e raccontano quella storia che monsieur Nogaret dalle pagine del suo diario di viaggio ci narra. 

In quel momento, ammaliato dalla chiesa, solo, mi sono sentito in compagnia di Nogaret circondato da una delle famiglie incontrate mentre, in silenzio e attenti, ascoltavano il racconto della Francia lontana nel mentre offrivano caffè e zucchero di canna caramellato.

Un mondo perso? Forse no fino a che lo ricordiamo.
Ed io mi sento un vero comunicatore di emozioni che spero la semiotica riesca a comunicare. segni e segnali, credo di averne lasciati.



ed una canzone dedicata alla bellissima chiesa di grafarkirkja  clikka qui per ascoltare