Buthan, ricordi e impressioni
Buthan, regno del drago (questo il simbolo sulla bandiera), è definito Regno della Felicità: non so se sia il paese della felicità ma di certo è un paese dove paesaggi meravigliosi, rispetto delle tradizioni e territorio non devastato un poco di felicità la fanno e, si, forse è il paese della Felicità!
E a viaggi della semiotica non rimane che raccontare: da tempo covavo il desiderio di visitare il Buthan che immaginavo posizionato tra il Paese dei Campanelli, Shangrila, Shambhala e fors’anche vicino a El Dorado; insomma un luogo dove tutto può accadere oppure è già accaduto anche perché il drago è simbolo dello spirito fecondo e creatore e la bandiera, garrendo al vento, ce lo comunica.
E così dopo averlo vagheggiato è giunto il momento di partire.
Quando? Alla fine del mese di Novembre che è un periodo non favorevolissimo poiché in Buthan si va a Maggio o a Settembre ma…. Il viaggio aveva un costo inferiore e soprattutto era il periodo in cui ero libero!
So che non è elegante parlare di denaro in un articolo di viaggi della semiotica ma il problema costi per questo paese è una barriera: lo stato richiede una tassa giornaliera a chiunque voglia visitare il paese e così oltre a trasporto, alloggio, vitto e guida che è necessario preacquistare da venditori autorizzati si assomma la tassa di soggiorno.
Stante il costo, le poche strutture alberghiere, la grande richiesta turistica la partenza di Novembre ha portato a conoscere un aspetto che in generale, e' sottovalutato: l’escursione termica!
A Novembre è di circa 20/25 gradi tra il giorno e la notte e come gli abitanti la affrontano fa capire che l’uomo si abitua a tutto!
In Buthan ci si arriva o via aria, dal Nepal e dall’India, oppure via terra attraversando il confine con l’India lungo strade non sempre scorrevoli (ma dai paesaggi unici)
Io ci sono arrivato via aria volando da Katmandu e atterrando a Paro che sorprende sin dal primo passo sul suolo buthanese. Perchè? Ma perché è assolutamente diverso dai suoi vicini siano essi la Cina oppure l’India o il Tibet da cui ha si preso influenze ma le ha modificate.
Iniziamo dall’aeroporto: volando da Katmandu si costeggia la catena himalayana ed a un certo momento si vede, sulla sinistra, enorme seppur lontano e ammantato di neve, il monte Everest, 8000 metri di bellezza.
Ti pare li, a portata di mano, fuori dal finestrino tanto che lo puoi toccare e invece dista molti chilometri e soprattutto non ti rendi conto di quanto possa essere freddo quel gigante: sei nella confortevolezza della cabina aerea pressurizzata e pensi solo a scattare fotografie che, poi, dopo, quando le riguardi ti confermano che quella meraviglia, tu, la hai davvero vista e sai che, forse, non la rivedrai mai più.
La valle di Paro è perpendicolare alla catena himalayana e pertanto per atterrare l’aereo deve necessariamente virare a destra di 90°, scendere di quota e infilarsi nella valle che è stretta: con le ali sfiori i pendii vallivi e rabbrividisci.
Finalmente atterri: si apre il portellone ed entra una folata di aria fresca e pura che ti riempie i polmoni di gioia! Respiri per la prima volta il Buthan.
Ridi e scherzi coi compagni di avventura e ti affacci alla scaletta: il personale di terra indossa la gonna! Non è una gonna intesa all’occidentale è l’abito tradizionale, il gho, che tutti gli uomini, in pubblico, indossano: una lunga casacca rimborsata in vita e fermata da una cintura tanto da lasciare le gambe scoperte (non le ginocchia). Calze lunghe al ginocchio e scarpe.
Le donne vestono il Kira, tre pezze di stoffa fermate in vita e sulla spalla e sotto il quale si indossa una camicia di seta.
L’aeroporto è pulito e profumato: l’affollato caos nepalese è già un ricordo e la guida ti attende sorridente.
Il 70% del territorio non è costruito e Thimpu, la capitale è quello che noi considereremmo un paese di montagna che, a onore del vero, è ordinato pulito e fortemente caratterizzato dall’architettura locale.
Tra una cosa e l’altra scende il sole dietro alle montagne e improvviso arriva il freddo. Il termometro passa velocemente sotto lo zero. L’albergo, caldo ed accogliente ti conforta: all’esterno cammina poca gente ma nessuno sembra infreddolito.
Le sere sono tranquille e silenziose: nessuno per strada solo noi che ci siamo avventuarti a esplorare i dintorni dell’albergo forse per l’adrenalina che scorre in vena.
Poi inizia la scoperta della capitale: un grande Buddha guarda la città e la valle e rimani estasiato dal tempio ai piedi della statua: nuovo e scintillante di oro le pareti sono ricoperte di affreschi che raccontano i jataka le vite precedenti del Buddha.
La religione ufficiale è Il buddhismo tantrico mahayana simile a quello tibetano ma con varianti e il paese ospita oltre 525 monasteri del Dhratsang i "Lhakang" , 144 di Lama reincarnati, 800 Lhakang di villaggio e altri 500 templi privati. In tutto il Bhutan è possibile trovare piccoli centri di ritiro, templi e monasteri.
Dopo il grande Buddha si visita lo Dzong (monastero cinto di mura) di Thimpu e rimani incantato dalla maestosità degli edifici e dei templi: il colore è la dominante principale, colore ovunque. Rosso, giallo, verde, arancio e, per contro, il marrone scuro delle grandi assi di quercia intrise di cera che formano il pavimento.
Cammini scalzo nei templi ma godi di ogni passo su quelle grandi assi lucide.
Poi lasci la capitale diretto alla valle delle gru dal collo nero: inizi a capire cosa vuol dire vivere sulla catena himalayana poiché a fondo valle sei a 2000 metri sul mare poi sali a 5000 metri e li trovi nuvole e freddo e l’aria rarefatta e ti dici…… cammina lentamente e cerca di adattarti all’altitudine tu che sei cittadino del caldo e del livello del mare.
Arrivi nella vallata che è sera: scendi dall’auto e il fiato si congela… brr che freddo e sogni il tepore dell’albergo in cui però non c’è nessun tepore ma freddo come fuori… vabbè sarà il ricevimento le camere saranno di certo calde, ne sei certo, anche perché ti dicono che hanno acceso il fuoco in camera.
Entri in camera e…. freddo! Il fuoco lo stanno accendendo proprio ora e le stufe sono piccole e la legna preziosa. Si fa il pieno di freddo!
Va beh.. è il Buthan
Cena in un elegante albergo leggermente più caldo e mentre mangi pensi che, poi, ti aspetta, la camera fredda e la doccia fredda e il vento freddo dei 4000 metri.
E loro sorridono: ma cosa avranno da sorridere pensi!
La camera è, ovviamente, calda attorno alla stufa e fredda appena ti allontani e poi che si fa? È tutta in legno mica lascerai la stufa accesa di notte… Io ho rischiato ho socchiuso la finestra e alimentato ogni tre ore la stufetta. Finchè il fuoco andava si stava anche bene (nel senso che si era sui 12° gradi in camera ma al mattino, finita la legna…..0° in camera!
Inizi a sognare il caldo del giorno: quando il sole sorge la temperatura sale e si arriva a 15/18 gradi un paradiso!
Va beh ammiri le gru dal colle nero che vengono qui a svernare perché fa caldo e ti domandi ma la dove vivono ma che temperatura c’è?
Le Gru sono meravigliose pare siano in via di estinzione: qui volano tranquille lungo la valle e rispettate dai locali e nei templi, sulle pareti, sono rappresentate ovunque.
Che pace e che bellezza: di notte farà anche freddo ma di giorno l’animo ti si rallegra. Quando poi arrivi nuovamente a 5000 metri e vedi un cielo blu che più blu non si può, i mantra colorati che garriscono al vento, gli stupa bianchi e la brina sugli alberi pensi davvero che il Buthan val bene il freddo!
Poi però cala il sole all’orizzonte e il freddo ritorna e la camera è fredda e a cena fa freddo e, per di più vedi i locali che vanno in giro in maglietta ed infradito e tu sei infreddolito e cerchi un calorifero e allora ti dici.. sarà anche bello il Buthan, ma non ci tornerò più!
Poi risale il sole all’orizzonte e il caldo ti abbraccia e allora pensi che il paese è meraviglioso e ammiri templi unici dove circolano monaci che si ritrovano in preghiera ed ascolti le preghiere e ti senti in pace col mondo non perché capisci le preghiere ma perché le recitano all’unisono, tanto all’unisono che ti pare una sola persona che prega e invece la preghiera ti vibra nello stomaco tanto è potente.
Una cosa singolare del Buthan: ovunque vedi dipinti linga.
Linga piccoli, grandi, enormi: sono portafortuna. Ho visto un enorme pene dipinto sulla caserma della polizia locale e nel tempio della fertilità un monacello mi ha benedetto con un colpo di pene in testa.
Come diceva fra Cristoforo (i Promessi Sposi) “omnia muna mundis”: sorridi o ridi, forse un poco imbarazzato, dei tanti negozi attorno al tempio che vendono falli che vanno dai pochi centimetri ai due metri di altezza!
Un giorno sali alla Tana della Tigre monastero abbarbicato sulla montagna: non ci sono parole per descrivere bellezza e magia del luogo ed il paesaggio sottostante. Un consiglio: se non ti acclimati facilmente all’altitudine non far come me che, per ansia di prestazione sono arrivato prima di tutti…. Certo ho goduto del monastero vuoto ma ho pagato la smargiassata. Il mal di montagna ha funestato la notte: pensavo che le mie ceneri sarebbero state sparse in Buthan ai piedi del grande Dzong di Paro.
Poi il viaggio finisce: hai visto le gru e gli yak, le mucche che camminano tranquille in paese e salgono e scendono i gradini delle scale, la gente sobria e felice che sfida il freddo come se nulla fosse, tanta natura, templi secolari ricchi di colore e calore (non fisico), hai camminato in montagna ed hai capito cosa sarebbe la vita senza riscaldamento ma sei felice perché “hai toccato il cielo blu con un dito”
Buthan, segno e significato del vivere nella e con il ritmo della natura.
E quale canzone potrebbe essere quella ideale se non “cosa sono le nuvole” sia nella versione di Domenico Modugno che in quella di Giuliano Sangiorgi?